Una classica del Sirente: per la Neviera sul Monte di Canale

... al di sopra delle nuvole, nel bianco assoluto del plateau di cresta e sotto un sole abbagliante ...

“Andiamo? Torniamo in montagna? Dai muoviamoci anche se le condizioni meteo non sono rassicuranti….” Sono state le domande che tutti i giorni, con un giro di telefonate, ci siamo fatti. Luca a digiuno di montagna da parecchio, troppo tempo, a chiedere tutti i momenti se c’erano possibilità di uscita…. In effetti tra le feste, una stagione allucinante piovosa e instabile era da più di un mese che non c’era verso di uscire. Insomma fremevamo per muoverci ancora. Nessuno era convinto e aspettava una spinta dall’altro e come sempre accade l’ultima telefonata del giovedì pomeriggio, ad un passo dall’ennesima rinuncia si consolidava il clamoroso tentativo, a tutti sembrato troppo ambizioso viste le condizioni meteo, del grande progetto della traversata del Sirente da Secinaro e Rovere. L’arditezza del progetto esigeva una alzataccia degna di essere dimenticata; alle 3 ero a farmi il caffè già fuori dal letto, carico ma dubbioso sulla riuscita della giornata. Alle 4 l’appuntamento con Luca all’Eur Torrino e alle 4,30 l’ultimo rendez-vous al casello di Tivoli con Diego. Filiamo con due macchine su un’autostrada deserta e già alle 6, ancora in piena notte siamo già a lasciare la prima delle due auto a Rovere. Poco più di 20 Km ci separano dal punto di partenza che a dire il vero dovremmo conquistare nel dedalo di stradine di campagna alle falde del Monte San Nicola. Arriviamo al presunto luogo di partenza alle 6,40; è ancora notte e quel che è peggio siamo anche avvolti dalla nebbia. Girovaghiamo un po’ nel labirinto di strade sterrate finchè non decidiamo di essere arrivati. Non si vede un accidente di niente. E’ ancora notte e diamo la colpa all’oscurità. Decidiamo di ingannare il tempo concedendoci una pennichella che nell’arco di pochi secondi diventa sonno profondo per tutti. Un quarto d’ora in cui i respiri si fanno profondi poi l’impazienza di decidere che cosa sarà della giornata ci scuote. Un’alba che non decide a sollevarsi non ci restituisce ancora il mondo. Ricominciamo a perlustrare con la macchina il territorio puntando verso l’alto ma i risultati sono sempre gli stessi, una trentina di metri di visibilità. Proviamo a scendere ma la situazione non migliora. In più l’impressione è che non ci sia traccia di sentiero, la zona è fuori dalle carte e il monte sembra un’uniforme grosso versante senza punti di riferimento. Insisto che salire in quelle condizioni, per noi che siamo vergini della zona, equivarrebbe a perdersi nel giro di mezz’ora. Tutti ne convengono. E’ in questo momento, ad un passo dalla resa che, non so come, viene proposta la salita da Fonte dell’Acqua, il sentiero tante volte ormai battuto e per questo sicuro. Ripartiamo con nuovo entusiasmo e alle 8,20 siamo all’inizio del sentiero da subito leggermente innevato. Saliamo di buona lena, con un passo accelerato e senza sentire stanchezza. Incontriamo presto la neve più alta e non proprio ghiacciata ma questo non ci permette di perdere il ritmo. Intorno il bosco, come sempre pulito e ordinato tipico della zona è avvolto dalla nebbia e sembra ancora più silenzioso del solito. Fallita sul nascere l’idea di salire per il ripidissimo vallone di Maiori puntiamo diretti verso la spettacolare neviera del Sirente. Il percorso già di per se sicuro e ben tracciato è stato di recente ristrutturato; segnali bianco rossi molto frequenti evitano certo la possibilità di perdersi. Intorno a quota 1500 veniamo raggiunti da un gruppo di ragazzi pescaresi. Alcuni con gli sci ai piedi altri come noi senza. Sono avvantaggiati nel salire; trovano le nostre orme. Ci facciamo raggiungere col chiaro scopo di farci aprire la strada nella neve ormai alta fino al polpaccio, ma una volta vicini e conosciutici è chiaro che sono loro a seguirci perché non conoscono la zona. Si rinfrancano perché le nostre destinazioni sono identiche e la formazione non muta. Noi a fare strada e ad aprirla anche, loro dietro. Giunti nella radura a quota 1700 circa, da dove il panorama sulla cresta della Neviera dovrebbe già ripagare della fatica fin lì patita, le condizioni meteo non mutano. Un bianco lattiginoso ci avvolge; il bosco è meraviglioso in quella condizione di invisibilità; la brina ghiacciata sui rami da il tocco di magia che riempie i nostri cuori, ma le tanto decantate creste della Neviera e i sui famosi canaloni rimangono a tutti un grande atto di fede. Descrivo il percorso, ormai intuitivo al di fuori del bosco, ai ragazzi con gli sci che si allontanano velocemente. Noi li seguiamo a rilento, forse delusi dal protrarsi della condizione di invisibilità. Descrivo a tutti ciò che ci spetta davanti, montiamo i ramponi e ci inoltriamo verso il canalone che punta diritto alla cresta di quota 2100 circa. Avanzando, una traccia di una piccola slavina ci mette sull’attenti, ma in questa zona è consuetudine vista la pendenza dei canaloni. In poco tempo siamo al di fuori del bosco, per me che conosco la zona la direzione da percorrere è chiara, per gli altri mi rendo conto che rimane una questione di fede. Solo poche ombre lontane testimoniano la presenza di rocce e se i ricordi non mi tradivano doveva trattarsi del bastione centrale della Neviera. Indico l’ombra scura come riferimento ad Angelo che parte avanti con gli sci e sparisce ben presto nella nebbia. Noi dietro attraversiamo lentamente la conca fino alle pendici del canalone. Sono i primi passi di Luca con i ramponi. Prendiamo ben presto a salire, apro il sentiero mentre la pendenza aumenta; lo strato di neve non ghiacciata ma buono tanto da formare un ottimo scalino al nostro progredire mi permette di puntare diritto verso l’alto. Luca dietro come un’ombra, poi Diego ed altri due ragazzi di Pescara. Intorno ancora indistinte sagome scure a testimoniare la presenza di rocce. Saliamo e saliamo, mi ricordavo il tratto del canale breve, ma le condizioni di visibilità annullata spostano le prospettive completamente. Era come se non ci fossi mai stato. E in mente mi è ritornata la vecchia impressione già vissuta. Sulla Neviera ci puoi salire cento volte e per altrettanti momenti avrai l’impressione di vivere un posto nuovo. Comunque salendo ancora, mentre i quadricipiti cominciano a prendere fuoco, finalmente il canale si stringe; indistinte ma ora presenti, le rocce si chiudono su di noi e si fanno incombenti. Una sorta di pianoro mi da l’illusione di essere arrivato in cresta anche perché Angelo si è fermato ad aspettarci. E’ in ansia e la manifesta chiedendomi lumi sulla mia sicurezza del percorso. A dire il vero mi fa anche un po’ innervosire; sono li con lui e con tutti gli altri, sbaglierei con loro e io per primo butterei energie per niente. Lo rassicuro di proseguire verso l’alto perché sul Sirente tutti i canaloni terminano in cresta e la cresta non può che essere sulla nostra testa. Manifesta ancora perplessità sul fatto che si possa aggredire il canalone visto che le ombre scure delle rocce sembrano preannunciare maggiore pendenza. Non gli rispondo nemmeno. Forse intuisce la mia sicurezza mista a ad un senso di nervosismo per il suo atteggiamento e decide di ripartire. Mentre ci concediamo una sosta mano a mano che il resto del gruppo si compatta, Luca certo invece delle mie sicurezze decide di partire verso l’alto. Me lo chiede come a cercare un consenso che non può mancare. Il suo progredire da secondo per la prima volta con i ramponi ai piedi, su un terreno ripido e insidioso è stato stupefacente e ancora di più lo sarà da primo. Ripartiamo tutti. Sono convinto che l’imbuto indistinto che abbamo davanti con la pendenza che accenna ad aumentare è l’ultimo tratto del canale che ci conduce in cresta. Un passo alla volta, con lo sguardo verso l’alto a cercare l’obiettivo noto che notiamo uno scurisiri dell’orizzonte. Inizialmente lo prendo come un incupirsi delle nubi. Lo temo un po’. Ancora alcuni passi e delle formazioni evanescenti, bianchi fantasmi batuffolosi cominciano a stagliarsi in alto a delimitare la conca. Poi il cupo dell’orizzonte prende i contorno del blu e tutto si chiarisce ai nostri sensi. La nebbia si sta dissolvendo; ogni passo ci porta sopra le nubi e ciò che ci viene regalato è un che di mai visto. Contorni eterei, vaporosi a formare un grande arco, in mezzo un blu che lentamente si trasforma in azzurro e luce. Sono i contorni della cresta, le rocce della montagna spolverate di neve che si manifestano lentamente al di sopra della nebbia. La neve del canalone prende toni dell’azzurro e tutto è così etereo che non possiamo che stupirci di uno spettacolo così surreale. In tanti anni di montagna è la prima volta che mi viene offerto uno spettacolo così etereo ed una emozione così devastante. Ancora pochi passi e l’impalpabile incoerenza dei contorni lascia il posto ad una luce abbagliante, ai contoni marcati e definiti tra il bianco candido della neve e l’azzurro profondo del cielo. Siamo al di sopra delle nuvole; la cresta è a cinquanta metri da noi. Angelo e Luca sono già lassù, il loro sorriso è foriero di ciò che ci verrà regalato da li a poco. Come si fa a non pensare ad una regia sopra di noi. Noi li, all’uscita del canalone nel momento esatto, nel confine esatto in cui il grigio delle nubi lascia il posto alla potenza espressiva del sole? Do un’occhiata all’orologio; sono le 12. Deduco che la neve ci ha un po’ rallentato. Una volta sopra, in cresta, i gruppi si dividono. I pescaresi puntano il Sirente, noi decidiamo di convergere verso sud. Monte Canale e Punta San Nicola ci aspettano. Saliamo ancora poco lo sperone sopra l’uscita del canalone che da lassù sembra essere un grigio buco senza fine e ci si spalanca l’incredibile. Un mare grigio, placido sotto di noi e le isole dei monti più alti che emergono qua e là. Tutta la catena del Gran Sasso e poi la Majella; dietro il Sirente il gruppo del Velino. E’ meraviglioso. Un regalo alle nostre speranze, alla nostra testardagine. Sostiamo un po’. Sappiamo che che quegli spettacoli saranno nostri compagni per tutto il tragitto in quota ma dopo tanto grigio e non vedere ci sembra di riprendere vita. Per Luca sono i primi spettacoli del genere. Cerco di ricordare le mie prime impressioni ricevute dalla montagna in condizioni simili. Lo invidio un po’. Deve provare una emozione fortissima. Come sempre poi decidere sulla carta, avendo la cresta e le vette tutte simili tra loro quali siano i nostri obiettivi, non è facile. Ci dirigiamo verso Sud; è un continuo salire e scendere. Monte di Canale sulla carta sembra essere vicinissimo all’imbocco della Neviera. Per due volte spostiamo la nostra vetta da raggiungere. Ci fotografiamo in tutte le vette che tocchiamo certi così di avere testimonianza. E poi ancora a Sud. Ad ogni passo i panorami mutano di angolazioni. Ora il Sirente si manifesta in tutta la sua ruvida forza di grande montagna continuamente solcata da canaloni paralleli, ora spunta il massiccio del Velino in tutta la sua vastità e ad ogni passo la Majella sembra sempre più vicina. A contribuire al cambio di scena un continuo abbassarsi e sollevarsi dello strato di nubi che rende sempre tutto diverso. Toccato ciò che decidiamo essere il Monte di Canale ci dirigiamo ancora a Sud alla ricerca delle Punta di San Nicola, un duemila per soli 20 metri. Dopo un camminare in quota in leggera discesa arriviamo ad uno sperone soto il quale sembrerebbe non esserci più montagna. Gli altimetri segnano quota 2100 o poco più. Troppo per essere il San Nicola. Ci confortiamo con le carte e decidiamo di essere in meta. Sono le 13 e 20. A dire il vero, pur consacrando la vetta con le solite foto di rito in me c’è un che di indifferenza. Mi convinco di essere sulla seconda nostra vetta della giornata ma dubito delle mie stesse convinzioni. In effetti sono indeciso. Perlustro la zona, mi spingo al limite ma non vedo monti di poco più bassi in direzione sud sotto di noi. Titubante mi convinco. Siamo sul San Nicola. Pausa per rifocillarci e crogiolarci ad un sole caldissimo. Foto, sorrisi e gli occhi che si riempiono del mondo infinito e stupendo che è sotto di noi. E quando siamo pronto per ripartirte ….. uno sci-alpinista solitario arriva ad infrangere le nostre certezze. Chiacchierando sulle nostre mete comuni viene fuori che siamo sul Monte di Canale e che il San Nicola è sotto, ancora avvolto dalle nebbie. Alle 14 un commiato sospettoso con l’amico incontrato e subito si apre un confronto tra noi. Prendiamo sicurezza, decidiamo che mica solo noi non siamo infallibili e che le carte e le distanze e che lì sotto non c’era più niente, insomma decidiamo per la conquista del San Nicola avvenuta. Ripercorriamo le nostre orme per ritoccare tutta la cresta già calpestata. I panorami sono gli stessi ma noi siamo ingordi di tanto bello. All’imbocco del canalone della Neviera il solito regista scuote la giornata. Nebbia veloce sospinta da un vento gelido chiude la scena. Non ci rimane che coprirci dal vento ed imboccare decisi il canalone. Ci viene da pensare che la giornata sia stata costruita e pansata per noi. Dentro il canale la scena cambia repentinamente. L’ombra incombente e le nubi che ci avvolgono quasi subito ci fanno ripiombare nell’invisibile. Solo a tratti l’orizzonte si riapre permettendo a Luca e Diego di ammirare la magnificenza che la Neviara sa offrire. Una luce azzurra eterea non permette tracciare bene i perimetri. Azzurra è la neve, un po’ più chiaro e luminoso il cielo e le rocce di un candore spettrale ammantate di un bianco corrotto dai riflessi azzurrognoli del cielo. Pochi attimi e non esiste più nulla. Da lì è solo una rapida, velocissima discesa senza sosta. Siamo davvero in forma, ripercorriamo le nostre tracce senza indugio. Nel bosco solo il tempo di togliere i ramponi e ripartiamo verso valle tanto che alle 16,20 siamo sulla strada. Per come era iniziata, la giornata ci ha regalato mille emozioni. Dalla solitudine del bosco immerso nella nebbia, ai riflessi indescrivibili del sole che decide di conquistare il posto alle nubi, al bagliore delle creste innevate, alle isole delle catene montuose tante volte conquistate disperse nel mare di nuvole. Per Luca un battesimo invernale degno di non essere mai dimenticato. Per noi la conferma che in montagna c’è sempre da sorprendersi e che vale sempre la pena osare. Ah, per la cronaca è stato poi Internet a confermarci che sul San Nicola non ci siamo arrivati per niente. Sul monte c’è una croce, modesta ma c’è. Mete conquistate dimezzate ma per una giornata del genere metterei una firma ancora prima di alzarmi dal letto.